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Incontro con Giuseppe Guzzetti
Intervento del Presidente della Fondazione CARIPLO e dell'ACRI Avv. Giuseppe Guzzetti, al seminario del 20 novembre 2015 che si è svolto nel Salone di Rappresentanza della Cassa di Risparmio di Cento S.p.A.
Il Presidente Guzzetti, comincia il suo intervento ringraziando l'Ordine Regionale dei Giornalisti, la Commissione Cultura dell'Ordine Nazionale dei Giornalisti per questo convegno e per l'occasione che viene offerta a lui e ai suoi colleghi Presidenti di Fondazione in questo incontro, che rappresenta l'occasione di illustrare ancora una volta cosa sono le Fondazioni bancarie e che attività svolgono.
Egli sottolinea come "nonostante che proprio quest'anno compiamo 25 anni di vita, le nostre Fondazioni sono ancora soggetti, abbastanza sconosciuti o talvolta addirittura soggetti che sono qualificati o ritenuti per quello che non sono" e che ciò non accade solo al cittadino comune, ma capita anche a livelli alti, a livelli di responsabili istituzionali.
L'avv. Guzzetti arriva poi ad affrontare il tema che gli è stato affidato "Il ruolo strategico delle Fondazioni".
Ricorda che quest'anno ricorrono i 25 anni di vita delle Fondazioni di origine bancaria (1990-2015) comparse nel nostro paese con una legge del 1990, che impose un'operazione molto particolare e fortemente innovativa. Fino al 1990, in Italia esistevano delle banche molto particolari: banche senza azionisti, perché i fondatori, nei loro statuti originari, avevano previsto che gli utili prodotti da queste banche non avendo gli azionisti da remunerare dovevano essere destinati ad attività di carattere sociale - oggi vengono definite filantropiche - o meglio "di beneficenza" come era scritto negli statuti originari. Si trattava delle Casse di Risparmio, delle Banche dei Monti di Pietà e dei Banchi del Sud e delle isole. Si trattava di Casse di Risparmio che non avendo azionisti alle spalle che premevano per avere il massimo del rendimento del proprio investimento, si potevano permettere di pagare un po' di più il risparmio che raccoglievano e di impiegare questo risparmio, facendo pagare un po' meno rispetto alle banche normali e alle banche commerciali questi loro impieghi, quindi premiando i risparmiatori e mettendo particolare attenzione sia alle famiglie, sia a coloro che (artigiani, commercianti, agricoltori e piccoli industriali) ricoprivano una funzione sociale attraverso le attività economiche che svolgevano.
Nel 1990 il Parlamento italiano con una legge, separa queste due attività che convivevano nelle Casse di Risparmio, creando una Società per azioni che avrebbe avuto il compito di svolgere l'attività di carattere bancario e, inventa un nuovo soggetto che compare per la prima volta nel panorama legislativo e giuridico del nostro Paese, che non chiama Fondazioni ma Enti conferenti in quanto vi veniva conferito il patrimonio dalla Società conferitaria cioè dalla Cassa di Risparmio.
Questi nuovi Enti, chiamati successivamente Fondazioni di origine Bancaria, ebbero in dote come patrimonio il valore che la Cassa di Risparmio di riferimento. Ecco il motivo per cui i due soggetti mantengono un forte legame, cioè perché la Fondazione detiene l'intero patrimonio della Banca controllandola al 100%. Il Presidente Guzzetti ricorda che inizialmente vi era l'obbligo, per le Fondazioni, di non dismettere il controllo della conferitaria. Obbligo introdotto successivamente con una normativa che chiedeva alle Fondazioni di perdere il controllo e scendere al di sotto del 50% del capitale sociale delle Casse di Risparmio di riferimento.
Si avvia con la Legge n. 218/1990 la vita delle Fondazioni. In realtà il legislatore in quel momento non ha minimamente l'obiettivo di definire e chiarire cosa siano questi Enti conferenti, la loro natura, la loro missione o la loro attività. Il legislatore ha come obiettivo quello di trovare un contenitore nel quale collocare le azioni, che rappresentano la Società conferitaria, e consegnare queste azioni all'Ente conferente.
Egli sottolinea come "nonostante che proprio quest'anno compiamo 25 anni di vita, le nostre Fondazioni sono ancora soggetti, abbastanza sconosciuti o talvolta addirittura soggetti che sono qualificati o ritenuti per quello che non sono" e che ciò non accade solo al cittadino comune, ma capita anche a livelli alti, a livelli di responsabili istituzionali.
L'avv. Guzzetti arriva poi ad affrontare il tema che gli è stato affidato "Il ruolo strategico delle Fondazioni".
Ricorda che quest'anno ricorrono i 25 anni di vita delle Fondazioni di origine bancaria (1990-2015) comparse nel nostro paese con una legge del 1990, che impose un'operazione molto particolare e fortemente innovativa. Fino al 1990, in Italia esistevano delle banche molto particolari: banche senza azionisti, perché i fondatori, nei loro statuti originari, avevano previsto che gli utili prodotti da queste banche non avendo gli azionisti da remunerare dovevano essere destinati ad attività di carattere sociale - oggi vengono definite filantropiche - o meglio "di beneficenza" come era scritto negli statuti originari. Si trattava delle Casse di Risparmio, delle Banche dei Monti di Pietà e dei Banchi del Sud e delle isole. Si trattava di Casse di Risparmio che non avendo azionisti alle spalle che premevano per avere il massimo del rendimento del proprio investimento, si potevano permettere di pagare un po' di più il risparmio che raccoglievano e di impiegare questo risparmio, facendo pagare un po' meno rispetto alle banche normali e alle banche commerciali questi loro impieghi, quindi premiando i risparmiatori e mettendo particolare attenzione sia alle famiglie, sia a coloro che (artigiani, commercianti, agricoltori e piccoli industriali) ricoprivano una funzione sociale attraverso le attività economiche che svolgevano.
Nel 1990 il Parlamento italiano con una legge, separa queste due attività che convivevano nelle Casse di Risparmio, creando una Società per azioni che avrebbe avuto il compito di svolgere l'attività di carattere bancario e, inventa un nuovo soggetto che compare per la prima volta nel panorama legislativo e giuridico del nostro Paese, che non chiama Fondazioni ma Enti conferenti in quanto vi veniva conferito il patrimonio dalla Società conferitaria cioè dalla Cassa di Risparmio.
Questi nuovi Enti, chiamati successivamente Fondazioni di origine Bancaria, ebbero in dote come patrimonio il valore che la Cassa di Risparmio di riferimento. Ecco il motivo per cui i due soggetti mantengono un forte legame, cioè perché la Fondazione detiene l'intero patrimonio della Banca controllandola al 100%. Il Presidente Guzzetti ricorda che inizialmente vi era l'obbligo, per le Fondazioni, di non dismettere il controllo della conferitaria. Obbligo introdotto successivamente con una normativa che chiedeva alle Fondazioni di perdere il controllo e scendere al di sotto del 50% del capitale sociale delle Casse di Risparmio di riferimento.
Si avvia con la Legge n. 218/1990 la vita delle Fondazioni. In realtà il legislatore in quel momento non ha minimamente l'obiettivo di definire e chiarire cosa siano questi Enti conferenti, la loro natura, la loro missione o la loro attività. Il legislatore ha come obiettivo quello di trovare un contenitore nel quale collocare le azioni, che rappresentano la Società conferitaria, e consegnare queste azioni all'Ente conferente.
Tappe importanti nella storia delle Fondazioni.
La prima tappa riguarda la legge istitutiva.
L'avv. Guzzetti ricorda che le Fondazioni compaiono per la prima volta in Italia nel 1990 senza che il legislatore si curi minimamente di cosa siano, di cosa debbano fare o di quale sia il rapporto con le rispettive casse di risparmio.
Queste Fondazioni ed i loro Consigli di Amministrazione iniziarono l'attività impiegando gli utili, che derivavano dall'attività delle casse di risparmio, sostanzialmente in due settori: il settore della beneficenza, oggi chiamato welfare, ed il settore dell'arte e cultura.
Il loro arrivo coincide con la crisi dello stato sociale dovuta alle minori risorse che la parte pubblica negli anni ha progressivamente destinato a questi bisogni.
Per tali ragioni le Fondazioni finiscono inevitabilmente per essere il soggetto più vicino a questi bisogni sociali, a cui si chiede di intervenire per sussidiarietà ma talvolta, ed oggi più che in passato, per superare la linea della sussidiarietà e fare da supplente.
Questa attività svolta dalle Fondazioni, unitamente al fatto che esse siano a diretto ed immediato contatto con le comunità di riferimento, fa emergere le lacune della legge del 1990.
La Seconda tappa è la cosiddetta "Legge Ciampi", che prende il nome dall'allora Ministro del Tesoro, che rappresentava anche l'Autorità di vigilanza delle Fondazioni.
Nel 1998/99 il Governo Prodi, e Ministro del Tesoro Ciampi, pone mano ad una disciplina completa, sciogliendo alcuni nodi rispetto a questo soggetto comparso otto anni prima che svolgeva questa attività senza una chiara definizione della natura, dello spazio di autonomia, del rapporto fra questi enti e la parte pubblica che aveva portato ad una condizione di difficoltà.
La Legge Ciampi non scende nel dettaglio ma fissa dei principi ai quali l'autorità pubblica e gli amministratori delle Fondazioni dovevano attenersi. Essa scioglie innanzitutto il nodo della natura della Fondazioni: da un lato alcuni affermavano che le Fondazioni appartenessero all'area pubblica, dall'altro si contrapponevano coloro che sostenevano la natura privata delle Casse di Risparmio e quindi delle Fondazioni. Il Presidente Guzzetti, ricorda che le Casse di Risparmio sono nate private, con capitali privati rappresentati da sottoscrizioni di cittadini che avevano costituito una banca che rispondesse meglio alle esigenze del proprio territorio.
Come dice testualmente il Presidente Guzzetti: "la Legge Ciampi scioglie questo nodo in maniera tranchant stabilendo che le Fondazioni sono enti privati, senza scopo di lucro, con piena autonomia statutaria e gestionale, nel rispetto della legge e dello statuto sottoposto all'approvazione dell'autorità di vigilanza rappresentata dall'allora Ministero del Tesoro, oggi Ministero dell'Economia e delle Finanze".
La legge definisce inoltre la Governance, prevedendo il Consiglio di Amministrazione, un Organo di Indirizzo ed un Collegio Sindacale. Per le Fondazioni Associative è salvata l'Assemblea, già esistente nei loro statuti, che concorre alla formazione per il 50% della composizione dell'Organo di Indirizzo.
Ricorda come questa legge, definisce i settori di intervento: servizi alla persona, arte e cultura, ambiente ed ecologia, ricerca scientifica ed universitaria ed istruzione. Fissa i principi nella gestione del patrimonio, al fine di gestire al meglio i loro patrimoni ed avere i mezzi per svolgere l'attività erogativa:
La legge fissa le modalità ed i contenuti per la costituzione degli organi delle Fondazioni fissando il principio che i membri degli organi di segnalazione pubblica non dovevano essere in maggioranza perché se ciò si fosse verificato, indirettamente le Fondazioni sarebbero state pubblicizzate e messe sotto il controllo degli enti pubblici.
Stabilisce inoltre i criteri per l'attività filantropica quali la trasparenza, ed equanimità nell'attività erogativa.
Nel 2002, il Governo dell'epoca (Berlusconi/Tremonti) tenta l'operazione di rendere le Fondazioni enti di natura pubblica.
La legge finanziaria del 2002, all'art. 11, affermava che la stragrande maggioranza degli amministratori delle Fondazioni dovevano essere nominati dagli Enti pubblici. Questa affermazione venne accompagnata nella riscrittura dell'art. 2 della "Legge Ciampi", dalla scomparsa dell'affermazione "piena autonomia statutaria e gestionale". Questo provvedimento permetteva al Ministro del Tesoro di fare un inventario annuale delle risorse che le Fondazioni per poterle utilizzare per ridurre il debito pubblico in Italia.
Guzzetti ricorda come: "Le Fondazioni insorsero di fronte a questo provvedimento di legge poiché si avvertì immediatamente il pericolo che tale disciplina avrebbe assoggettato i Consigli di Amministrazione e gli Organi di Indirizzo a stragrande maggioranza pubblica", subalterni della parte pubblica. Le Fondazioni impugnarono l'art. 11 davanti alla Corte Costituzionale.
Terza tappa, dopo l'impugnazione delle Fondazioni, la Corte emise le sentenze 300 e 301 del 2003 che mettono chiaramente fine alla controversia di carattere giuridico riaffermando che le Fondazioni sono enti privati, hanno piena autonomia, svolgono una funzione totalmente separata dalla banca conferitaria e non possono essere dichiarate pubbliche.
La sentenza 300 afferma inoltre che le Fondazioni fanno parte "dell'organizzazione delle libertà sociale", ossia del vasto mondo del cosiddetto privato sociale, composto da privati che svolgono attività a favore della comunità. La funzione delle Fondazioni è di sostenere il mondo del volontariato per realizzare il principio di sussidiarietà che nel frattempo era stato sancito in Costituzione con ultimo comma dell'art. 118.
La prima tappa riguarda la legge istitutiva.
L'avv. Guzzetti ricorda che le Fondazioni compaiono per la prima volta in Italia nel 1990 senza che il legislatore si curi minimamente di cosa siano, di cosa debbano fare o di quale sia il rapporto con le rispettive casse di risparmio.
Queste Fondazioni ed i loro Consigli di Amministrazione iniziarono l'attività impiegando gli utili, che derivavano dall'attività delle casse di risparmio, sostanzialmente in due settori: il settore della beneficenza, oggi chiamato welfare, ed il settore dell'arte e cultura.
Il loro arrivo coincide con la crisi dello stato sociale dovuta alle minori risorse che la parte pubblica negli anni ha progressivamente destinato a questi bisogni.
Per tali ragioni le Fondazioni finiscono inevitabilmente per essere il soggetto più vicino a questi bisogni sociali, a cui si chiede di intervenire per sussidiarietà ma talvolta, ed oggi più che in passato, per superare la linea della sussidiarietà e fare da supplente.
Questa attività svolta dalle Fondazioni, unitamente al fatto che esse siano a diretto ed immediato contatto con le comunità di riferimento, fa emergere le lacune della legge del 1990.
La Seconda tappa è la cosiddetta "Legge Ciampi", che prende il nome dall'allora Ministro del Tesoro, che rappresentava anche l'Autorità di vigilanza delle Fondazioni.
Nel 1998/99 il Governo Prodi, e Ministro del Tesoro Ciampi, pone mano ad una disciplina completa, sciogliendo alcuni nodi rispetto a questo soggetto comparso otto anni prima che svolgeva questa attività senza una chiara definizione della natura, dello spazio di autonomia, del rapporto fra questi enti e la parte pubblica che aveva portato ad una condizione di difficoltà.
La Legge Ciampi non scende nel dettaglio ma fissa dei principi ai quali l'autorità pubblica e gli amministratori delle Fondazioni dovevano attenersi. Essa scioglie innanzitutto il nodo della natura della Fondazioni: da un lato alcuni affermavano che le Fondazioni appartenessero all'area pubblica, dall'altro si contrapponevano coloro che sostenevano la natura privata delle Casse di Risparmio e quindi delle Fondazioni. Il Presidente Guzzetti, ricorda che le Casse di Risparmio sono nate private, con capitali privati rappresentati da sottoscrizioni di cittadini che avevano costituito una banca che rispondesse meglio alle esigenze del proprio territorio.
Come dice testualmente il Presidente Guzzetti: "la Legge Ciampi scioglie questo nodo in maniera tranchant stabilendo che le Fondazioni sono enti privati, senza scopo di lucro, con piena autonomia statutaria e gestionale, nel rispetto della legge e dello statuto sottoposto all'approvazione dell'autorità di vigilanza rappresentata dall'allora Ministero del Tesoro, oggi Ministero dell'Economia e delle Finanze".
La legge definisce inoltre la Governance, prevedendo il Consiglio di Amministrazione, un Organo di Indirizzo ed un Collegio Sindacale. Per le Fondazioni Associative è salvata l'Assemblea, già esistente nei loro statuti, che concorre alla formazione per il 50% della composizione dell'Organo di Indirizzo.
Ricorda come questa legge, definisce i settori di intervento: servizi alla persona, arte e cultura, ambiente ed ecologia, ricerca scientifica ed universitaria ed istruzione. Fissa i principi nella gestione del patrimonio, al fine di gestire al meglio i loro patrimoni ed avere i mezzi per svolgere l'attività erogativa:
- la diversificazione dell'investimento;
- il divieto di investire il patrimonio in investimenti finanziari speculativi;
- il divieto di indebitarsi;
- l'obbligo di definire strumenti, regolamenti e modalità attraverso le quali programmare nel medio lungo periodo le risorse da mettere a disposizione per l'attività di carattere filantropico.
La legge fissa le modalità ed i contenuti per la costituzione degli organi delle Fondazioni fissando il principio che i membri degli organi di segnalazione pubblica non dovevano essere in maggioranza perché se ciò si fosse verificato, indirettamente le Fondazioni sarebbero state pubblicizzate e messe sotto il controllo degli enti pubblici.
Stabilisce inoltre i criteri per l'attività filantropica quali la trasparenza, ed equanimità nell'attività erogativa.
Nel 2002, il Governo dell'epoca (Berlusconi/Tremonti) tenta l'operazione di rendere le Fondazioni enti di natura pubblica.
La legge finanziaria del 2002, all'art. 11, affermava che la stragrande maggioranza degli amministratori delle Fondazioni dovevano essere nominati dagli Enti pubblici. Questa affermazione venne accompagnata nella riscrittura dell'art. 2 della "Legge Ciampi", dalla scomparsa dell'affermazione "piena autonomia statutaria e gestionale". Questo provvedimento permetteva al Ministro del Tesoro di fare un inventario annuale delle risorse che le Fondazioni per poterle utilizzare per ridurre il debito pubblico in Italia.
Guzzetti ricorda come: "Le Fondazioni insorsero di fronte a questo provvedimento di legge poiché si avvertì immediatamente il pericolo che tale disciplina avrebbe assoggettato i Consigli di Amministrazione e gli Organi di Indirizzo a stragrande maggioranza pubblica", subalterni della parte pubblica. Le Fondazioni impugnarono l'art. 11 davanti alla Corte Costituzionale.
Terza tappa, dopo l'impugnazione delle Fondazioni, la Corte emise le sentenze 300 e 301 del 2003 che mettono chiaramente fine alla controversia di carattere giuridico riaffermando che le Fondazioni sono enti privati, hanno piena autonomia, svolgono una funzione totalmente separata dalla banca conferitaria e non possono essere dichiarate pubbliche.
La sentenza 300 afferma inoltre che le Fondazioni fanno parte "dell'organizzazione delle libertà sociale", ossia del vasto mondo del cosiddetto privato sociale, composto da privati che svolgono attività a favore della comunità. La funzione delle Fondazioni è di sostenere il mondo del volontariato per realizzare il principio di sussidiarietà che nel frattempo era stato sancito in Costituzione con ultimo comma dell'art. 118.
L'ultima tappa è rappresentata dal Protocollo d'intesa.
L'ACRI vedeva associate 88 Fondazioni molto diverse tra loro. Tra queste, alcune hanno sono state protagoniste di situazioni patologiche causate da amministratori che non hanno rispettato i principi della legge "Ciampi", in particolar modo nella gestione del patrimonio. Per questi motivi l'ACRI si è posta il problema di come evitare che si tornasse in Parlamento con una nuova legge sulle Fondazioni in quanto tale legge risulta tuttora valida nella definizione della natura, nei principi di gestione del patrimonio, nei principi di svolgimento dell'attività erogativa e nel funzionamento della Governance. Tuttavia, essendo questa una legge di principi, ciò che è accaduto in questi anni e ciò che è stato evidenziato dalle situazioni patologiche, ha reso necessario dare a quei principi un contenuto che evitasse il ripetersi di tali situazioni anche in futuro.
Ecco quindi cosa prevede il Protocollo, nella gestione del patrimonio:
Il Presidente Guzzetti ribadisce che "Il Protocollo non è altro che l'attuazione dei principi contenuti nella "Legge Ciampi" ai quali viene data una definizione dal punto di vista quantitativo e/o qualitativo e della attività che gli amministratori devono compiere per amministrare correttamente i propri patrimoni". Esso contiene inoltre una parte interamente dedicata alla Governance delle Fondazioni, le modalità di scelta degli Amministratori, i requisiti di onorabilità, di competenza e di professionalità.
Vi è una sezione dedicata alla attività erogativa, alla trasparenza, ai bilanci ed a tutto quanto attiene l'applicazione della "Legge Ciampi".
Riassumendo queste quattro tappe e ferme restando la buona gestione del patrimonio ed il rispetto dei suddetti criteri, oggi si può affermare che la definizione giuridica di natura privata e la regolamentazione dell'attività delle Fondazioni rende chiaro ed evidente che questi enti hanno davanti, due tipologie di attività.
La prima, come afferma la legge, riguarda lo svolgimento dell'attività erogativa che deve avere come obiettivo l'utilità sociale. Il Presidente Guzzetti sottolinea come: "il primo obiettivo di una Fondazione rispetto alla comunità di riferimento deve essere quello per cui all'interno di quella comunità qualunque soggetto, qualora si trovi in una condizione di difficoltà, di fragilità o di emarginazione, deve sentirsi pienamente realizzato: questo è il concetto di coesione sociale. La coesione sociale non è un obiettivo da raggiungere ma una condizione che bisogna garantire nella propria comunità a ciascuna persona".
Ecco quindi come il riferimento all'utilità sociale, della presenza di una Fondazione è legato a questo elemento della coesione sociale nella comunità nella quale essa opera.
La seconda attività è legata al fatto che nella "Legge Ciampi" vi è una norma che recita "le Fondazioni devono promuovere lo sviluppo economico". Questa norma è stata oggetto - nelle discussioni in Parlamento, segnatamente al Senato, di una grande polemica. Si sosteneva che, attraverso questa norma, in realtà le Fondazioni volevano continuare non solo ad essere azionisti di maggioranza delle Casse di Risparmio, ma a "pasticciare" con attività economiche e finanziarie, proprie delle banche.
Lo sviluppo economico della comunità di riferimento rappresenta sicuramente per le Fondazioni il primo obiettivo così come lo è anche, la promozione dello sviluppo economico della nazione. Questa seconda missione si riferisce in particolare alle attività che mediante gli impieghi del patrimonio possono perseguire questo obiettivo. In particolare l'articolo 11 che la Corte Costituzionale ha largamente dichiarato incostituzionale, conteneva un comma, che fu salvato dalla Corte, con il quale si affermava che le Fondazioni possono utilizzare una parte limitata del proprio patrimonio, non più del 10%, per investimenti che fossero coerenti con le finalità sociali delle Fondazioni e che questi investimenti potessero anche avere un minore rendimento rispetto a quelli normali, in ragione, appunto, della finalità sociale dell'investimento.
Guzzetti rimarca con forza che le Fondazioni "non sono uno sportello bancomat al quale richiedere contributi; esse sono soggetti proattivi nelle comunità di riferimento in un rapporto di partenariato con i soggetti pubblici e privati di riferimento".
A questo proposito il Presidente racconta di una esperienza legata all'edilizia sociale sviluppata diversi anni fa dalla Fondazione Cariplo, in collaborazione con altre Fondazioni bancarie. Egli spiega che in Italia undici anni fa esistevano due tipi di edilizia, quella pubblica e quella privata, ma esisteva una domanda sociale importante che non veniva soddisfatta dai due tipi di edilizia pubblica e privata: si trattava della domanda proveniente da studenti universitari, giovani coppie, anziani, immigrati che svolgendo un lavoro, e quindi avendo disponibilità di un reddito, non potevano accedere ai canoni d'affitto del mercato. Grazie ad alcune Fondazioni bancarie, si è trovato una risposta a quei bisogni sociali facendo delle sperimentazioni ed assumendosi dei rischi. Queste Fondazioni hanno dimostrato che era possibile dare una risposta a quei bisogni ed oggi esistono dei fondi regionali, ai quali le Fondazioni concorrono, e si è realizzata una Società partecipata dalla Cassa Depositi e Prestiti che ha raccolto gli investimenti delle grandi banche, delle casse di previdenza dei professionisti, delle assicurazioni, che co-investe nei fondi regionali. L'edilizia sociale è una realtà su tutto il territorio nazionale.
E' compito delle Fondazioni cercare soluzioni alternative o possibilità di sperimentare nuove iniziative che possano dare risposte a bisogni che nessuno soddisfa o dare risposte migliori di quelle esistenti.
Il Presidente poi si sofferma sulla gestione dell'assistenza delle persone anziane e sottolinea come in Italia sia ancor molto frequente la prassi di affidare gli anziani a strutture apposite, sia nel caso di autosufficienza del soggetto che nel caso di non autosufficienza. Ricorda come oggi, la ricerca scientifica nel settore della senilità, offre strumenti e possibilità per una migliore assistenza e di conseguenza per una qualità migliore nella parte terminale della vita. Tema questo su cui molte Fondazioni stanno intraprendendo i primi progetti.
Guzzetti introduce il tema del cosiddetto stato sociale; ovvero bisogna impegnarsi per verificare se, di fronte alla vasta domanda sociale ed alla mancanza di risposte da parte dello Stato e/o degli enti pubblici locali, le Fondazioni possono sperimentare la possibilità di soddisfare tale domanda.
Con riferimento al welfare sociale ricorda che in ACRI una Commissione ha approfondito questo tema, ha lanciato l'iniziativa di sostituire la parola "stato" con la parola "comunità". Ciò significa che in territori che hanno una propria identità, dove i cittadini si sentono parte della propria comunità, si possono avviare delle verifiche affinché questi bisogni sociali vengano soddisfatti da risorse non pubbliche. Nel Bilancio dello Stato vi sono risorse per queste attività. La Fondazione Cariplo ha finanziato una ricerca per lo studio del Bilancio dello Stato. Tale ricerca ha permesso di scoprire risorse pari a circa 67 miliardi che vengono spesi a Roma non tenendo conto dei reali bisogni delle classi sociali più disagiate; meglio sarebbe che almeno una parte di queste risorse venissero trasferite alle comunità locali. L'idea è quella di proporre che tali risorse vengano messe a disposizione degli Enti locali e delle comunità, dove esistono bisogni e dove le risorse non vengono sprecate. Se tale sperimentazione dovesse avere esito positivo, sarebbe un ulteriore esempio di come le Fondazioni possono dare risposte ai bisogni delle comunità.
L'ACRI vedeva associate 88 Fondazioni molto diverse tra loro. Tra queste, alcune hanno sono state protagoniste di situazioni patologiche causate da amministratori che non hanno rispettato i principi della legge "Ciampi", in particolar modo nella gestione del patrimonio. Per questi motivi l'ACRI si è posta il problema di come evitare che si tornasse in Parlamento con una nuova legge sulle Fondazioni in quanto tale legge risulta tuttora valida nella definizione della natura, nei principi di gestione del patrimonio, nei principi di svolgimento dell'attività erogativa e nel funzionamento della Governance. Tuttavia, essendo questa una legge di principi, ciò che è accaduto in questi anni e ciò che è stato evidenziato dalle situazioni patologiche, ha reso necessario dare a quei principi un contenuto che evitasse il ripetersi di tali situazioni anche in futuro.
Ecco quindi cosa prevede il Protocollo, nella gestione del patrimonio:
- Diversificazione del patrimonio: viene stabilito che non può essere investo più del 30% del proprio patrimonio in un singolo investimento, sia esso una banca od un altro investimento. Ciò per evitare che, come accaduto in passato, qualora quell'asset andasse in crisi, si vanificherebbe in larga misura il patrimonio. Fissare il principio del 30% significa mantenere la piena autonomia degli amministratori, che possono decidere gli investimenti che ritengono più profittevoli per la propria Fondazione, costringendoli a non seguire un criterio di concentrazione pericoloso per la Fondazione.
- Divieto di effettuare investimenti speculativi: ossia il divieto di utilizzare i derivati come strumento di investimento; essi possono essere utilizzati come copertura ma solo rispettando un lungo elenco di particolari condizioni.
- Divieto di indebitarsi: salvo il caso in cui venga dimostrato che il patrimonio può reggere un debito che non superi il 10%, spiegando per quale operazioni si richiede l'indebitamento. (A tal proposito una Fondazione ha partecipato ad un aumento di capitale della propria banca di riferimento ritenendo più opportuno contrarre un mutuo poiché il disinvestimento di alcuni investimenti sarebbe stato più oneroso rispetto alla contrazione del mutuo stesso)
Il Presidente Guzzetti ribadisce che "Il Protocollo non è altro che l'attuazione dei principi contenuti nella "Legge Ciampi" ai quali viene data una definizione dal punto di vista quantitativo e/o qualitativo e della attività che gli amministratori devono compiere per amministrare correttamente i propri patrimoni". Esso contiene inoltre una parte interamente dedicata alla Governance delle Fondazioni, le modalità di scelta degli Amministratori, i requisiti di onorabilità, di competenza e di professionalità.
Vi è una sezione dedicata alla attività erogativa, alla trasparenza, ai bilanci ed a tutto quanto attiene l'applicazione della "Legge Ciampi".
Riassumendo queste quattro tappe e ferme restando la buona gestione del patrimonio ed il rispetto dei suddetti criteri, oggi si può affermare che la definizione giuridica di natura privata e la regolamentazione dell'attività delle Fondazioni rende chiaro ed evidente che questi enti hanno davanti, due tipologie di attività.
La prima, come afferma la legge, riguarda lo svolgimento dell'attività erogativa che deve avere come obiettivo l'utilità sociale. Il Presidente Guzzetti sottolinea come: "il primo obiettivo di una Fondazione rispetto alla comunità di riferimento deve essere quello per cui all'interno di quella comunità qualunque soggetto, qualora si trovi in una condizione di difficoltà, di fragilità o di emarginazione, deve sentirsi pienamente realizzato: questo è il concetto di coesione sociale. La coesione sociale non è un obiettivo da raggiungere ma una condizione che bisogna garantire nella propria comunità a ciascuna persona".
Ecco quindi come il riferimento all'utilità sociale, della presenza di una Fondazione è legato a questo elemento della coesione sociale nella comunità nella quale essa opera.
La seconda attività è legata al fatto che nella "Legge Ciampi" vi è una norma che recita "le Fondazioni devono promuovere lo sviluppo economico". Questa norma è stata oggetto - nelle discussioni in Parlamento, segnatamente al Senato, di una grande polemica. Si sosteneva che, attraverso questa norma, in realtà le Fondazioni volevano continuare non solo ad essere azionisti di maggioranza delle Casse di Risparmio, ma a "pasticciare" con attività economiche e finanziarie, proprie delle banche.
Lo sviluppo economico della comunità di riferimento rappresenta sicuramente per le Fondazioni il primo obiettivo così come lo è anche, la promozione dello sviluppo economico della nazione. Questa seconda missione si riferisce in particolare alle attività che mediante gli impieghi del patrimonio possono perseguire questo obiettivo. In particolare l'articolo 11 che la Corte Costituzionale ha largamente dichiarato incostituzionale, conteneva un comma, che fu salvato dalla Corte, con il quale si affermava che le Fondazioni possono utilizzare una parte limitata del proprio patrimonio, non più del 10%, per investimenti che fossero coerenti con le finalità sociali delle Fondazioni e che questi investimenti potessero anche avere un minore rendimento rispetto a quelli normali, in ragione, appunto, della finalità sociale dell'investimento.
Guzzetti rimarca con forza che le Fondazioni "non sono uno sportello bancomat al quale richiedere contributi; esse sono soggetti proattivi nelle comunità di riferimento in un rapporto di partenariato con i soggetti pubblici e privati di riferimento".
A questo proposito il Presidente racconta di una esperienza legata all'edilizia sociale sviluppata diversi anni fa dalla Fondazione Cariplo, in collaborazione con altre Fondazioni bancarie. Egli spiega che in Italia undici anni fa esistevano due tipi di edilizia, quella pubblica e quella privata, ma esisteva una domanda sociale importante che non veniva soddisfatta dai due tipi di edilizia pubblica e privata: si trattava della domanda proveniente da studenti universitari, giovani coppie, anziani, immigrati che svolgendo un lavoro, e quindi avendo disponibilità di un reddito, non potevano accedere ai canoni d'affitto del mercato. Grazie ad alcune Fondazioni bancarie, si è trovato una risposta a quei bisogni sociali facendo delle sperimentazioni ed assumendosi dei rischi. Queste Fondazioni hanno dimostrato che era possibile dare una risposta a quei bisogni ed oggi esistono dei fondi regionali, ai quali le Fondazioni concorrono, e si è realizzata una Società partecipata dalla Cassa Depositi e Prestiti che ha raccolto gli investimenti delle grandi banche, delle casse di previdenza dei professionisti, delle assicurazioni, che co-investe nei fondi regionali. L'edilizia sociale è una realtà su tutto il territorio nazionale.
E' compito delle Fondazioni cercare soluzioni alternative o possibilità di sperimentare nuove iniziative che possano dare risposte a bisogni che nessuno soddisfa o dare risposte migliori di quelle esistenti.
Il Presidente poi si sofferma sulla gestione dell'assistenza delle persone anziane e sottolinea come in Italia sia ancor molto frequente la prassi di affidare gli anziani a strutture apposite, sia nel caso di autosufficienza del soggetto che nel caso di non autosufficienza. Ricorda come oggi, la ricerca scientifica nel settore della senilità, offre strumenti e possibilità per una migliore assistenza e di conseguenza per una qualità migliore nella parte terminale della vita. Tema questo su cui molte Fondazioni stanno intraprendendo i primi progetti.
Guzzetti introduce il tema del cosiddetto stato sociale; ovvero bisogna impegnarsi per verificare se, di fronte alla vasta domanda sociale ed alla mancanza di risposte da parte dello Stato e/o degli enti pubblici locali, le Fondazioni possono sperimentare la possibilità di soddisfare tale domanda.
Con riferimento al welfare sociale ricorda che in ACRI una Commissione ha approfondito questo tema, ha lanciato l'iniziativa di sostituire la parola "stato" con la parola "comunità". Ciò significa che in territori che hanno una propria identità, dove i cittadini si sentono parte della propria comunità, si possono avviare delle verifiche affinché questi bisogni sociali vengano soddisfatti da risorse non pubbliche. Nel Bilancio dello Stato vi sono risorse per queste attività. La Fondazione Cariplo ha finanziato una ricerca per lo studio del Bilancio dello Stato. Tale ricerca ha permesso di scoprire risorse pari a circa 67 miliardi che vengono spesi a Roma non tenendo conto dei reali bisogni delle classi sociali più disagiate; meglio sarebbe che almeno una parte di queste risorse venissero trasferite alle comunità locali. L'idea è quella di proporre che tali risorse vengano messe a disposizione degli Enti locali e delle comunità, dove esistono bisogni e dove le risorse non vengono sprecate. Se tale sperimentazione dovesse avere esito positivo, sarebbe un ulteriore esempio di come le Fondazioni possono dare risposte ai bisogni delle comunità.
La povertà infantile.
Questo è l'ultimo argomento trattato dal Presidente Guzzetti, e prende spunto da un dato conosciuto da pochi: si stima che in Italia vi siano da un 1.100.000 ad un 1.800.000 di bambini che vivono in una condizione di povertà assoluta e di non normale nutrizione. A questo si va ad aggiungere una altissima percentuale di disoccupazione giovanile, ed infine la senilità dove la serenità da diversi anni non è più garantita.
Quanto all'infanzia negata, data l'importanza del tema, l'ACRI ha avanzato una proposta al Governo affinché nella Legge di stabilità sia previsto un alleggerimento della pressione fiscale a carico delle Fondazioni - dopo che dallo scorso anno l'imposizione fiscale è quadruplicata - per un importo di circa 100 milioni di euro per predisporre un progetto sperimentale che affronti il tema dell'infanzia negata.
Il Presidente Guzzetti, conclude il suo intervento, trattando il futuro della Cassa di Risparmio di Cento S.p.A..
Ricorda che il Protocollo d'intesa ACRI-MEF prevede che le Fondazioni non possano detenere più del 30% in un singolo investimento, e la Fondazione Cassa di Risparmio di Cento, che ha firmato il protocollo, ha una quota molto superiore a questo limite.
Come si può risolvere questo problema?
Per le Fondazioni che hanno partecipazioni quotate in borsa, il termine dei tre anni per la dismissione risulta più semplice da rispettare, che non invece per quelle Fondazioni che hanno ancora un controllo su banche non quotate. Per queste ultime, tra cui anche la Fondazione CR Cento è stato previsto un termine pari a 5 anni, con l'obbligo di predisporre un documento che indichi la linea da seguire in quei 5 anni.
Ricorda che l'ACRI nella redazione del testo del Protocollo ha precisato alcuni importanti criteri da rispettare nell'operazione di dismissione:
L'ACRI ritiene fondamentale la presenza delle Fondazioni Casse di Risparmio per i territori nei quali operano: si tratta infatti di economie molto caratteristiche, dove vi è una prevalenza di agricoltura, artigianato, piccole e medie attività commerciali, che hanno tratto dalla presenza della Cassa i motivi del proprio sviluppo.
Questo valore va assolutamente salvaguardato e l'ACRI è contraria ad operazioni che minino questo rapporto fondamentale.
Questa linea adottata dall'ACRI è confermata anche dal fatto che la stessa "Legge Ciampi" inizialmente prevedesse la dismissione del controllo della banca conferitaria: tuttavia dopo anni di discussioni si è riusciti a modificare la norma consentendo a quelle Fondazioni che operavano in quei territori, di mantenere il controllo delle proprie conferitarie.
In secondo luogo vi è il problema della Fondazione: qui scatta un altro principio, ovvero quello di non poter concentrare l'investimento oltre il 30% nell'ente conferitario.
Il Presidente dichiara che l'ACRI sta approfondendo il tema del mantenimento delle Casse in due direzioni, la prima riguarda quella dell'azionariato diffuso, così che la Fondazione possa scendere sotto il limite stabilito, pur garantendo alla Cassa di restare la banca del proprio territorio.
L'altra direzione riguarda lo studio di nuovi strumenti che possano dare soluzioni che, da un lato consentano alla Cassa di mantenere la propria autonomia e il radicamento sul territorio, e dall'altro garantiscano alle Fondazioni di rispettare il limite del 30%. Questo a conferma che l'ACRI è impegnata affinché non scompaiano le Casse di Risparmio che sono rimaste ancora in vita nei territori e che per queste economie sono indispensabili.
L'Avv. Guzzetti termina ringraziando per l'opportunità che gli è stata data, e fa un'ultima considerazione. "In questo momento nel nostro paese la presenza delle Fondazioni non svolge soltanto una attività sussidiaria come sancito dalla Corte Costituzionale, ma sovente queste travalicano questo limite per svolgere anche attività di supplenza là dove ci sono carenze evidenti dal punto di vista sociale" e continua, "è quindi importante che ci sia un rapporto molto forte tra la comunità, il volontariato e gli Enti pubblici, in una condizione di trasparenza e di rispetto delle reciproche autonomie, ma con una grande volontà di collaborazione. Le Fondazioni stanno dimostrando di svolgere una funzione senza la quale la condizione delle nostre comunità, soprattutto dal punto di vista sociale, sarebbe molto più precaria".
Questo è l'ultimo argomento trattato dal Presidente Guzzetti, e prende spunto da un dato conosciuto da pochi: si stima che in Italia vi siano da un 1.100.000 ad un 1.800.000 di bambini che vivono in una condizione di povertà assoluta e di non normale nutrizione. A questo si va ad aggiungere una altissima percentuale di disoccupazione giovanile, ed infine la senilità dove la serenità da diversi anni non è più garantita.
Quanto all'infanzia negata, data l'importanza del tema, l'ACRI ha avanzato una proposta al Governo affinché nella Legge di stabilità sia previsto un alleggerimento della pressione fiscale a carico delle Fondazioni - dopo che dallo scorso anno l'imposizione fiscale è quadruplicata - per un importo di circa 100 milioni di euro per predisporre un progetto sperimentale che affronti il tema dell'infanzia negata.
Il Presidente Guzzetti, conclude il suo intervento, trattando il futuro della Cassa di Risparmio di Cento S.p.A..
Ricorda che il Protocollo d'intesa ACRI-MEF prevede che le Fondazioni non possano detenere più del 30% in un singolo investimento, e la Fondazione Cassa di Risparmio di Cento, che ha firmato il protocollo, ha una quota molto superiore a questo limite.
Come si può risolvere questo problema?
Per le Fondazioni che hanno partecipazioni quotate in borsa, il termine dei tre anni per la dismissione risulta più semplice da rispettare, che non invece per quelle Fondazioni che hanno ancora un controllo su banche non quotate. Per queste ultime, tra cui anche la Fondazione CR Cento è stato previsto un termine pari a 5 anni, con l'obbligo di predisporre un documento che indichi la linea da seguire in quei 5 anni.
Ricorda che l'ACRI nella redazione del testo del Protocollo ha precisato alcuni importanti criteri da rispettare nell'operazione di dismissione:
- l'operazione di dismissione non deve danneggiare il Patrimonio della Fondazione;
- deve tenere conto delle condizioni di mercato nel momento in cui viene effettuata l'operazione;
- deve consentire alle Fondazioni di fare una valutazione complessiva degli effetti che questa operazione comporta sul territorio.
L'ACRI ritiene fondamentale la presenza delle Fondazioni Casse di Risparmio per i territori nei quali operano: si tratta infatti di economie molto caratteristiche, dove vi è una prevalenza di agricoltura, artigianato, piccole e medie attività commerciali, che hanno tratto dalla presenza della Cassa i motivi del proprio sviluppo.
Questo valore va assolutamente salvaguardato e l'ACRI è contraria ad operazioni che minino questo rapporto fondamentale.
Questa linea adottata dall'ACRI è confermata anche dal fatto che la stessa "Legge Ciampi" inizialmente prevedesse la dismissione del controllo della banca conferitaria: tuttavia dopo anni di discussioni si è riusciti a modificare la norma consentendo a quelle Fondazioni che operavano in quei territori, di mantenere il controllo delle proprie conferitarie.
In secondo luogo vi è il problema della Fondazione: qui scatta un altro principio, ovvero quello di non poter concentrare l'investimento oltre il 30% nell'ente conferitario.
Il Presidente dichiara che l'ACRI sta approfondendo il tema del mantenimento delle Casse in due direzioni, la prima riguarda quella dell'azionariato diffuso, così che la Fondazione possa scendere sotto il limite stabilito, pur garantendo alla Cassa di restare la banca del proprio territorio.
L'altra direzione riguarda lo studio di nuovi strumenti che possano dare soluzioni che, da un lato consentano alla Cassa di mantenere la propria autonomia e il radicamento sul territorio, e dall'altro garantiscano alle Fondazioni di rispettare il limite del 30%. Questo a conferma che l'ACRI è impegnata affinché non scompaiano le Casse di Risparmio che sono rimaste ancora in vita nei territori e che per queste economie sono indispensabili.
L'Avv. Guzzetti termina ringraziando per l'opportunità che gli è stata data, e fa un'ultima considerazione. "In questo momento nel nostro paese la presenza delle Fondazioni non svolge soltanto una attività sussidiaria come sancito dalla Corte Costituzionale, ma sovente queste travalicano questo limite per svolgere anche attività di supplenza là dove ci sono carenze evidenti dal punto di vista sociale" e continua, "è quindi importante che ci sia un rapporto molto forte tra la comunità, il volontariato e gli Enti pubblici, in una condizione di trasparenza e di rispetto delle reciproche autonomie, ma con una grande volontà di collaborazione. Le Fondazioni stanno dimostrando di svolgere una funzione senza la quale la condizione delle nostre comunità, soprattutto dal punto di vista sociale, sarebbe molto più precaria".
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